Tra le caratteristiche considerate positive delle PAS c’è sicuramente l’empatia.
Molte PAS sentono di essere più in sintonia con le emozioni degli altri rispetto ad altre persone o si trovano nel ruolo dell’amico-terapeuta a cui si ricorre per essere ascoltati e consigliati.
Diversi studiosi riportano una differenza tra essere “autenticamente empatici” ed “essere capaci di provare empatia”. In sostanza, una persona “naturalmente empatica” è dotata di una capacità innata di intuire o percepire i sentimenti degli altri", mentre una persona “capace di provare empatia” ha sviluppato una grande capacità di leggere le persone in modo appreso, ad esempio perché è impegnata in lavori che richiedono questa abilità, come ad esempio psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali e tutti i professionisti delle relazioni d’aiuto.
Un’altra differenza è che l’empatico per natura riesce a “sentire” i sentimenti degli altri anche se non si è mai trovato nella situazione che sta vivendo l’altra persona, mentre chi è in grado di provare empatia lo fa più facilmente quando ha vissuto situazioni o esperienze analoghe all’altro.
In entrambi i casi l’empatia è una grande risorsa che consente di creare connessioni, intuire i problemi, gestire situazioni e riuscire ad anticipare i bisogni dell’altro.
È molto probabile che chi è naturalmente empatico sia anche altamente sensibile per la sua più spiccata capacità di sentire tutto in modo amplificato.
Ci sono anche dei test per misurare se siamo non solo altamente sensibili ma anche “empath” che è misura di un grado di alta sensibilità ancora più elevato.
Chi si trova in questa situazione avrà sperimentato anche il rovescio della medaglia del sentire così tanto quello che gli altri sentono, soprattutto il dolore, che può arrivare alla somatizzazione fisica o a perdere di vista dove finiamo noi e dove inizia l’altro e di chi è la proprietà di quel dolore.
A volte, l’essere così “dentro” al vissuto degli altri può diventare una scudo per non vedere noi stessi, i nostri problemi, la nostra sofferenza.
In questo caso, fermiamoci a chiederci: “Sto scappando da qualcosa di me?” “Sono in grado di essere con me stesso/a così empatico/a e compassionevole come sono con l’altro? O mi sto trascurando, o non vedendo?”
Portata all’estremo, l’empatia può diventare tossica anche per le persone con cui stiamo empatizzando. Potremmo sentirci talmente coinvolti nella loro vita da esercitare una forma di controllo sulla persona che vogliamo aiutare, sostituendoci a lei e non lasciandola libera di cercare le proprie vie di risoluzione dei problemi a modo suo e anche a costo della sua sofferenza.
Per non farci sopraffare dalle emozioni altrui e mantenere quei sani confini che ci permettono di trattarci con equità vivendo in primis le nostre emozioni dobbiamo lavorare sulla consapevolezza e sui confini.
Consapevolezza vuol dire portare un’attenzione focalizzata a quello che sta accadendo a noi, a livello fisico ed emotivo, a cosa stiamo sentendo e provando per poter lasciare andare quelle emozioni che stiamo trattenendo e riuscire a rilassarci. Tutte le pratiche di mindfulness sono ottime per questo.
Come è sempre utile lavorare sul respiro, concentrandosi su questo anche per brevi momenti nella giornata per tornare al nostro centro, chiudendo gli occhi e visualizzando ciò che è dentro e ciò che è fuori dal nostro confine.
È anche utile scrivere quali sono i nostri progetti, le nostre problematiche, le attività su cui vorremmo concentrarci e tornare a questo elenco ogni volta che ci sentiamo deviare perché troppo presi ad essere nei problemi di qualcun altro.
Insomma, tenere un po’ di cuore per noi fa bene a noi stessi e ci rende più capaci di essere di supporto a chi ne ha bisogno in una vera relazione d’aiuto e non di dipendenza.
Comments