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Essere PAS: un’etichetta negativa o un superpotere?


Anticipo subito la mia risposta: nessuna delle due. È tutta una questione di parole e del loro potere.


Ma non è una questione banale, perché come parliamo di noi, e come ci parliamo di noi determina se questo potere ce lo accreditiamo o lo stiamo delegando ad altri.


Noi siamo parole, siamo storie, siamo quello che ci raccontiamo. Se non avessimo parole perderemmo il pensiero e ciò che ci differenzia come esseri umani.


Riporto una frase che citava un articolo di the Guardian contenuta nel libro The Power of a Thoughtful Mind in an Overwhelming World scritto da Jenn Granneman insieme ad Andre Sólo:


If someone puts a label on you, it’s painful. If you choose one for yourself, it’s empowering.

Se qualcuno ti attribuisce un'etichetta, è doloroso. Se ne scegli tu una per te stess*, è potenziante.


Ecco che l’essere PAS può trasformarsi dal sentirci considerati quelli troppo sensibili, fragili, emotivi, un po’ fuori dal mondo a sentirci quelli che hanno qualcosa di speciale, intuitivi, veloci nel ragionamento, creativi.


L’essere consapevoli di come siamo fatti e riprenderci il potere di essere noi a descriverci è sicuramente liberatorio, rasserenante, potenziante. Ma è solo il punto di partenza per andare verso un’identità che sentiamo corrisponderci veramente.


Siamo PAS, ci sono ormai tanti studi che dimostrano l’esistenza e il funzionamento di questo tratto, ma non è poi così importante comunicarlo. Ci serve per mettere tanti nostri modi di sentire, agire, comportarci nella giusta luce. È una caratteristica del nostro sistema nervoso con cui nasciamo, che di per sé non è né buona né cattiva. Dipende da noi cosa vogliamo farne e come possiamo usarla per arrivare là dove veramente vogliamo andare.

Guidando noi.

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