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Alla ricerca della vocazione perduta


Questo argomento mi sta molto a cuore perché stare rispondendo o meno alla propria vocazione può fare una enorme differenza nella vita delle PAS.


Difficilmente le PAS hanno come obiettivo primario del loro lavoro il guadagnare molti soldi o l’avere prestigio e fama (ranking) ma piuttosto si realizzano in occupazioni che sentono che hanno un significato e in cui possono dare un contributo (linking) agli altri, alla società, al mondo.


Il pregiudizio diffuso che vede le persone sensibili stare meglio nel chiuso della loro stanzetta o in lavori solitari è vero in parte. Abbiamo bisogno di tranquillità e solitudine per ricaricarci ma se ci manca l’elemento di connessione con gli altri ci sentiamo incomplete.


Un iter tipico delle PAS con cui lavoro è essere cresciute senza la consapevolezza di essere PAS, nel momento delle scelte (scolastiche e lavorative) avere spesso preso direzioni dettate dal loro essere brave e talentuose (“quindi puoi fare tutto”), magari indirizzate dai genitori, avere iniziato carriere nell’ottica del ranking, ossia seguendo i valori e le aspettative dominanti nella nostra cultura, avere lottato e sofferto per rispondere a questo modello (riuscendoci più o meno bene a seconda delle persone e delle circostanze) e poi ritrovarsi, nel mezzo del cammin di nostra vita, con un senso di vuoto, di incompiuto o ancora peggio con un non-senso.


Questo accade facilmente verso la mezza età quando si sono raggiunti i principali traguardi: lavoro stabile, famiglia, figli. Abbiamo corso, sofferto, lottato, ci siamo impegnate… e ora cosa abbiamo tra le mani? Un senso di insoddisfazione che si può tradurre in ansia, irritabilità, insonnia, malumore, atteggiamenti nevrotici verso gli altri. Cominciamo a rimuginare sul fatto che non eravamo adatte per quel lavoro, che forse se all’università avessimo scelto altro ora…oppure ci abbattiamo e ci sentiamo in un vicolo cieco da cui vorremmo uscire ma non sappiamo come.


Il primo passo è giocarsi subito il Jolly. Il Jolly che troviamo nelle comuni carte da ramino, chiamato in alcune regioni anche la Matta, viene dalla tradizione antica dei tarocchi, dove la carta senza numero è appunto “Il Matto”. Lungi dall’essere un folle senza criterio, il Matto è colui che segue l’intuizione, che si avvia senza sapere esattamente dove sta andando ma seguendo un istinto profondamente suo, guidato da un’energia creativa. D'altronde il giullare di corte era colui che si poteva permettere di dire verità scomode grazie al suo ruolo ma aveva tutta la lucidità per vederle e comprenderle.


Riaprire il canale con la nostra parte intuitiva e creativa è un passaggio fondamentale. Se c’era qualcosa che facevi di creativo da bambino/a, ricomincia a farlo: scrivere, cantare, disegnare, cucire, creare con le mani, tutto ciò che apre una strada che solo noi possiamo compiere in un certo modo. Serve per riconnettersi con la parte più vera di noi che ci chiede di essere ascoltata. Una volta che avremo aperto la comunicazione e capito che cosa ci sta chiedendo questa parte ignorata, allora avremo più chiara la direzione del cambiamento che possiamo dare alla nostra vita.

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