Come parli con te stesso/a? Le fondamenta della Self-Compassion
- Roberta Ganeo
- 22 apr
- Tempo di lettura: 2 min

Le persone altamente sensibili spesso vengono riconosciute per la loro empatia, la delicatezza con cui si avvicinano al sentire degli altri, la naturale capacità di accogliere e comprendere. Eppure, quando si tratta di rivolgere quello stesso sguardo a sé stesse… ecco che tutto cambia.
A quanti di noi è capitato di essere durissimi nel dialogo interiore, ipercritici, impazienti, incapaci di usare parole gentili con le nostre parti che percepiamo più fragili? Nonostante la nostra inclinazione alla gentilezza, spesso facciamo fatica a praticare quella che viene chiamata self-compassion – la compassione rivolta verso noi stessi.
Eppure è proprio quella la base da cui partire.
Perché la self-compassion è fondamentale
Essere compassionevoli con noi stessi non è solo una coccola emotiva: è una vera e propria risorsa neurofisiologica. Quando ci critichiamo, ci giudichiamo o ci trattiamo con durezza, il nostro sistema nervoso reagisce come se fosse sotto attacco. Aumentano i livelli di cortisolo e adrenalina, si attivano risposte di difesa. Ma se impariamo a parlarci con gentilezza, ad accoglierci nei momenti difficili, succede qualcosa di completamente diverso: si abbassa il cortisolo e si attiva l’ossitocina – quell’ormone che regola il senso di connessione, di calma, di sicurezza.
In pratica: il modo in cui ci parliamo può amplificare lo stress… oppure calmarlo. E noi PAS, che siamo già predisposte a sentire tutto molto, abbiamo bisogno di un linguaggio interno che ci protegga invece che ferirci.
Come iniziare a trasformare il dialogo interiore
Un primo passo concreto è modificare le parole che usiamo con noi stessi. A volte basta alleggerire una frase, spostarla dal giudizio sulla persona alla valutazione di un comportamento, per cambiare completamente la prospettiva.
Ecco qualche esempio:
"Sono una stupida" → "Questa cosa non mi riesce bene"
"Non ci riuscirò mai" → "Devo ancora trovare il modo"
"Non valgo niente" → "Forse non è in questo che risiede il mio valore"
Nella prima versione ci condanniamo. Nella seconda ci apriamo alla possibilità.
Dare un nome a ciò che proviamo
Un altro gesto potente di self-compassion è validare le emozioni. Quando sentiamo qualcosa di scomodo, invece di tentare di scacciarlo o giudicarlo, possiamo fermarci, riconoscerlo, dargli un nome.
Paura. Rabbia. Tristezza. Frustrazione. Sono tutte emozioni che hanno diritto di esistere. Possiamo dirci, con dolcezza: “Va bene che tu ti senta così. Sono qui con te.”
Pensare col cuore
Noi PAS tendiamo a vivere molto nella mente, a ragionare, riflettere, analizzare ogni cosa. Ma le nostre risposte più autentiche sono prima di tutto emotive. Allenarsi a “pensare col cuore” significa rivolgere a noi stesse lo stesso sguardo che avremmo per una persona cara: un gesto di comprensione, una frase che consola, una mano simbolica che ci accarezza la schiena.
Significa imparare a perdonarci, a consolarci, a dirci “va bene così”, anche quando ci sentiamo rotte o imperfette.