Qualche anno fa sono caduta dalle scale.
Uscivo di fretta mentre componevo mentalmente il tetris delle attività della giornata: impegni lavorativi, attività delle figlie, incombenze casalinghe, magari una passeggiata di mezz’ora nell’attesa di...badabam…un attimo di buio profondo e mi ritrovo stesa sullo zerbino in fondo alla rampa con la caviglia piegata in modo innaturale che invia segnali di dolore lancinante all’universo. La ignoro e mi rialzo. D’altronde chi si ferma è perduto…. Controllo che nessun vicino sia stato testimone della rocambolesca caduta e mi avvio zoppicante al lavoro dove liquido i consigli dei solleciti colleghi (“vai al pronto soccorso…”) con una serie ininterrotta di “non mi fa molto male, tra poco passa, grazie”.
La conclusione della storia è scontata: a sera non riuscivo più ad appoggiare il piede a terra, trauma distorsivo con prognosi di 12 giorni di assoluto riposo, piede fasciato, stampelle e accessori ortopedici vari…e adesso come faccio???
Gridava in ansia la “me stessa –controllora”, la multi-tasking, l’efficiente, la perfezionista tutto fare. “Adesso ascolti”, sussurrava la “me stessa- che si prende cura”, quella che parla talmente piano che a volte non si sente, quella che ti prende per mano nel silenzio, quella che dolcemente ti spiega cosa è meglio per te ma lo fa solo quando…ti fermi.
Quell’episodio è stato per me un punto di svolta. Non so perché proprio quello, ma capita che ci siano eventi anche banali che fanno scattare qualcosa. Magari perché abbiamo raggiunto un culmine ed è necessario un elemento che ci faccia girare l’interruttore.
Io in quel momento ho girato l’interruttore su “Ascoltare”.
Che poi guarda caso è anche la cosa più importante nel coaching. Ed inizia pure con la A, simbolo degli inizi: dell’alfabeto, dell’appello, delle vocali che pronunciano i bambini.
Ascoltare = udire con attenzione.
La componente fondamentale che differenzia “l’ascoltare” dal “sentire” è l’attenzione, quindi una qualità non legata solo al senso passivo dell’udito ma alla capacità attiva di prestare attenzione a ciò che viene detto, ma anche a ciò che non viene detto, a ciò che è implicito e silente in un discorso, in una situazione, in un vissuto.
Nel nostro mondo ordinario, fatto di tanti rumori esterni e, soprattutto per le PAS, di tante voci interiori che ci spingono, ci tirano, ci redarguiscono, spesso non ci fermiamo ad ascoltare. Ascoltare cosa?
Le chiamate che ci fa il nostro io nascosto, quello che sa ciò di cui abbiamo bisogno. A volte queste chiamate si presentano sotto forma di malesseri fisici, o cose che attirano la nostra attenzione, o frasi dette da un amico, o eventi inaspettati che ci accadono, come le cadute dalle scale…
Ecco, spesso la via verso ciò di cui abbiamo veramente bisogno si trova lì. È una via verso la consapevolezza che non inizia con i manifesti, ma con indizi che chiedono di essere seguiti.
Molti arrivano dal nostro corpo che tante volte sa più della nostra mente e “sa prima”. E come un vecchio saggio va rispettato e…ascoltato.
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